Siddhantha, Advaita e Yoga – Parte 5

Intervista di Marshall Govindan (Satchidananda) 
Copyright Marshall Govindan © 2014

Differenze filosofiche tra monismo e pluralismo

In parole povere la scuola monistica sostiene che per sua emanazione Dio, che chiamano “Shiva” oppure “Esso” ha creato ogni cosa – il mondo, tutte le cose del mondo e tutte le anime – e che ogni anima è destinata a fondersi in ultimo in una unione advaitica con Dio, proprio come un fiume che sfocia nel mare. La scuola pluralista di Meykandar postula che Siva non ha creato il mondo e le anime, ma che esse esistono in eterno, proprio come Dio e che il destino ultimo dell’anima non è l’unione advaitica in Dio ma l’associazione non-duale con lui in eterna beatitudine, un’unione simile al sale disciolto nell’acqua. Nella prima visione c’è la manifestazione di Siva al principio e la fusione in Siva alla fine e solo il Dio supremo, Siva è eterno e increato. Nella seconda visione, le differenze tra i tre, Dio, l’anima e il mondo sono e restano eterne. Il realista pluralista sostiene che poiché Dio è perfetto, non ha potuto creare anime imperfette in un mondo imperfetto con tutta la loro sofferenza. L’anima non ha un principio, ma coesiste eternamente con Siva dallo stato Kevala, che risale ai tempi primordiali, allo stato shuddha, che si estende per sempre nel futuro.

Nella visione monistica, il Dio Siva è tutto; anche l’universo fisico è una Sua parte, anche se la trascende. Nella visione pluralista, Dio Siva anima e guida l’universo, ma questo non è una Sua parte. Il punto cruciale quindi è se vi sia una realtà eterna nell’universo o tre, se l’anima sia eternamente separata o sia, in sostanza, un tutt’uno con Shiva. Questa discussione fra teismo monistico e realismo pluralista è approfondita nell’ultimo volume della nostra pubblicazione Tirumandiram.

Domanda: Che cosa è Maya e perché la filosofia Siddhantha è considerata teismo monistico?

Risposta: Siddhantha, come lo Yoga classico , lo Shivaismo del Kashmir e Tantra parte da ciò che si prova sul piano relativo dell’esistenza, nel mondo, con tutti i suoi limiti e le sue fonti di sofferenza. Non respinge il mondo come “irreale” o maya illusorio. Maya ha anche un significato diverso nel Siddhantha rispetto al Vedanta. Maya si riferisce alla soggettiva illusione del Siddhantha. In Advaita Vedanta, maya si riferisce al potere dell’illusione oggettiva, per cui un’unica realtà sembra essere molte. Advaita o non dualismo inizia e finisce nel piano assoluto dell’esistenza. Solo Brahman esiste. Tutto il resto è solo apparentemente reale. Siddhantha riconosce che solo poche persone hanno il potere necessario di concentrazione, distacco e il carattere virtuoso per seguire il percorso di Advaita, il mantenimento di questa prospettiva del piano assoluto, anche se capiscono i suoi insegnamenti. Quindi Siddhantha raccomanda un percorso progressivo chiamato Sanmarga che inizia proprio dal piano relativo e ha come fine il piano assoluto. Così inizia con “il teismo,” la prospettiva dell’anima incarnata nel mondo e finisce nel “monismo,” la prospettiva di unità nell’identità, la continua consapevolezza non duale di Esso. E’ quindi “il teismo monistico”, come lo Shivaismo del Kashmir, che probabilmente si è

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sviluppato parallelamente al Siddhantha. Questo percorso di Sanmarga comprende le seguenti quattro fasi di preparazione alla consapevolezza non duale:

  1. Charya prestare servizio nei santuari o templi, facendo le pulizie, raccogliendo i fiori per il culto, assistendo alle attività del luogo santo, facendo ogni cosa come self-service. E’ il percorso del servitore che dimora in prossimità del Signore.
  2. Kriya è il secondo percorso, significa il culto rituale e il devoto diventa “figlio del Signore.” Il devoto è vicino, intimo con il Signore.
  3. Yoga è il terzo approccio e richiede la contemplazione e altre pratiche spirituali come Kundalini Yoga e Astanga Yoga. Il devoto diventa l’amico del Signore. Raggiunge la forma e le insegne del Signore, manifesta le sue qualità e poteri. I primi tre percorsi sono considerati preliminari.
  4. Jnana è il quarto percorso, la realizzazione diretta, che si traduce in completa unione con il Signore. Ma non si perde l’individualità. L’aspetto fondamentale comune ad entrambi Siva e jiva è la coscienza, chit, il primo è più alto, e il secondo, è quello prevalente negli esseri umani. In Yoga-sutra I.24 Patanjali ci dice che è Shiva, il Signore, Ishvara (Isha + svara, Siva + il proprio Sé):

Ishvara è il Sé speciale, non toccato da alcuna afflizione, azione, o conseguenza dell’azione o da qualsiasi altro desiderio interiore.

Per raggiungere il livello più profondo e puro del nostro essere, cioè di chi veramente siamo, è necessario purificarsi dalle cause della sofferenza (ignoranza, egoismo, attaccamento, avversione, aggrapparsi alla vita), abbandonare il punto di vista egoista che “io sono l’agente” e le abitudini che formano il karma e i desideri. Quello che inizialmente sembra essere duale, l’anima e Dio, una volta raggiunta la consapevolezza diventa uno solo. Questo ricorda l’esortazione paradossale di Gesù, che ha detto: “Amate i vostri nemici” Se amate i vostri nemici non avrete nemici.

Anche se queste fasi sono alla base della cultura religiosa predominante nell’India meridionale, pochissime persone vanno oltre la prima o la seconda fase. Il Sivavakkiyar, come altre opere letterarie Siddha, ammonisce il lettore a non rimanere bloccati nelle “case di mezzo” delle prime due fasi: il culto del tempio, i rituali, la religione organizzata, le scritture e la casta, ma a cercare la “realizzazione diretta” jnana, attraverso la pratica del Kundalini Yoga. Mentre è dualista nell’approccio (teistico nella relazione tra l’anima e Dio) sul piano relativo dell’esistenza dove le anime devono lottare con l’ignoranza della loro vera identità, maya (illusione mentale per quanto riguarda tempo, passioni, ecc), karma e guna della natura umana, è monistica sul piano assoluto della realtà. Questo paradosso può essere visto più chiaramente con la seguente analogia che sottolinea l’importanza della prospettiva. Quando si comincia a cercare la verità, o Dio o la realtà, si è come una persona che sta camminando verso una montagna. Da lontano, la montagna, come Dio, la Verità, o Realtà, sembra essere così grande da essere irriconoscibile. Questo avviene da una prospettiva particolare nel tempo e nello spazio. Alla fine si trova un sentiero forse uno dei tanti, che ci porta su per la montagna. Questi percorsi sono simili in varie religioni, filosofie, pratiche spirituali e anche nella scienza. Man mano che si sale il sentiero, il paesaggio ci diventa sempre più familiare. Cominciamo a conoscerlo. La nostra prospettiva cambia quando ci avviciniamo e ci arrampichiamo sulla montagna. Ma quando arriviamo in cima alla montagna, la

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prospettiva cambia completamente. Non c’è più alcuna differenza tra noi e la montagna. Né il Veggente, né il Visto è cambiato. Il ricercatore e la montagna rimangono come sono sempre stati. Solo la prospettiva del ricercatore è cambiata. Se, secondo Advaita, solo Brahman è vero, allora che dire di maya? Non è irreale, anche Adi Sankara, l’esponente più importante di Advaita, ha anticipato questa obiezione dichiarando che maya, inteso come oggettiva illusione, o la forza per cui l’Uno appare come molti, è intrinsecamente indeterminata. Questa è una difesa tutt’altro che soddisfacente. Considerare maya, come fa Siddhantha, come illusione soggettiva e reale sul piano relativo dell’esistenza, è molto più soddisfacente e utile nel processo liberatorio dalla sua potenza.

Per questo è così importante distinguere il piano relativo dell’esistenza (il mondo e il singolo stato mentale) dal piano assoluto dell’esistenza, dove tutto è visto come Uno, ignorando le condizioni e le conseguenze di ognuno. Molte persone che seguono ciò che i critici chiamano insegnanti “Neo-Advaita” ignorano questa distinzione e di conseguenza ritengono che la semplice conoscenza dello stato non-duale sia sufficiente e che non ci sia nulla da fare per realizzarlo e per mantenerne la consapevolezza. Questo spiega anche il motivo per cui non esiste una parola in sanscrito per “filosofia”. Ci sono tuttavia sei principali prospettive filosofiche note come darshan che includono VaisheshikaNyayaSamkhyaMimamsaVedanta Yoga.