Intervista di Marshall Govindan (Satchidananda)
Copyright Marshall Govindan © 2014
Domanda: Qual è la causa della sofferenza umana e come superarla?
Nel Sutra Yoga, il Siddha Patanjali descrive cinque klesha o cause di sofferenza:
- L’ignoranza della nostra vera identità, l’anima, Sat Chit Ananda, il vedere ciò che è provvisorio e temporaneo come permanente, l’impuro come puro, il dolore come piacere e il non-Sé come il Sé;
- L’egoismo, che nasce dall’ignoranza, l’abitudine di identificarsi con ciò che non siamo: il complesso corpo-mente fisica, i suoi sensi, emozioni e pensieri;
- L’Attaccamento a ciò che è considerato piacevole;
- L’Avversione che è aggrapparsi a sofferenza; paura, antipatie;
- L’Aggrapparsi alla vita o alla paura della morte.
Patanjali dice: nella forma sottile queste cause di sofferenza possono essere rimosse seguendole giù giù fino alla loro radice e tornando ripetutamente nelle varie fasi di Samadhi. Nel loro stato attivo esse sono annullate dalla meditazione. Yoga Sutra II.3-11.
Egli aggiunge che la pratica del “Kriya Yoga” ha come scopo indebolire queste cause di sofferenza e coltivare l’assorbimento cognitivo (samadhi o realizzazione del Sé). Yoga-sutra II.2.
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Siddhar Patanjali (Affresco, tempio di Chidambaram Nataraja in India)
Domanda: Qual è la differenza tra “monismo” o “non-dualismo” (advaita) e “dualismo” (dvaita) e “pluralismo” (teismo)?
Definizioni di monismo e pluralismo: il dizionario Webster definisce il monismo come “la dottrina secondo la quale vi è un solo principio, che la realtà è un tutto organico, senza parti indipendenti.” Questo è l’opposto del dualismo: “la teoria secondo la quale il mondo è composto da due elementi irriducibili (materia e spirito) o … la dottrina secondo cui nell’universo ci sono due principi opposti, il bene e il male.”
Il Pluralismo è definito come “la teoria secondo la quale la realtà è composta da una molteplicità di esseri, principi o materie.”
Domanda: Perché sono importanti queste distinzioni?
Risposta: Si tratta di sottili distinzioni che a prima vista sembrano non avere alcun rilievo nell’esperienza religiosa quotidiana. Potremmo quindi essere tentati di liquidarle come materia di pertinenza solo di teologi, Satguru, swami, yogi e filosofi. Tuttavia, esse sono il cuore della religione e non possono essere considerate banali. Esse riguardano tutti, perché definiscono percezioni distinte della natura dell’anima (e quindi di noi stessi), del mondo e di Dio. Esse ci offrono diversi obiettivi spirituali: sia per unirci totalmente e per sempre con Dio (uno stato che trascende perfino gli stati di beatitudine) che per rimanere eternamente separati da Dio (anche se tale separazione è vista positivamente come beatitudine senza fine). Una visione, il monismo, è l’unità nell’identità in cui l’anima incarnata, jiva, in realtà è e diventa Dio (Shiva).
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L’altra visione, il pluralismo, è l’unità nella dualità, due in uno, in cui l’anima gode della vicinanza di Dio, ma rimane per sempre un’anima individuale, o tre in uno, perché la terza entità, il mondo, o pasha, non si fonde mai, nemmeno in parte, con Dio.
Inoltre, a seconda di quale prospettiva si adotta, cambia la visione del mondo. Il non-dualista (advaitan) vede il mondo come “irreale”, illusorio e di conseguenza poco importante. Si evita di essere toccati dalle cose del mondo, che viene respinto in quanto illusorio. Dio non esiste. Non c’è anima. Non è né teista, né ateo. E’ monistico: il che significa che vi è solo Uno. C’è una sola realtà, indicata come Brahman, un impersonale “Esso.” L’obiettivo è la moksha, la libertà dall’illusione (maya), che impedisce di rendersi conto che vi è solo Uno. Al risveglio dall’illusione di maya, si acquista consapevolezza di questa realtà non duale. I mezzi per raggiungere questo obiettivo sono “ricerca del Sé” o “ricordo del Sé.” Questo può comportare la contemplazione di frasi come “Chi sono io?” o “Io sono Quello”, o “Io sono Brahman,” o lo studio delle Upanishad, i commenti Vedanta sui Veda. Essa può anche comportare il prendere dei voti formali di rinuncia in un ordine monastico, come il Dasami, ordine swami fondato dal principale esponente di Advaita, Adi Sankara nel 9° secolo.
Il dualista (dvaitan) d’altra parte riconosce che il mondo è reale e distinto dall’anima – spirito. Lo Yoga classico, basato sulla filosofia dualista Samkhya, insegna che per liberarsi dalla sofferenza del mondo bisogna entrare ripetutamente in uno stato di coscienza chiamato samadhi, assorbimento cognitivo. In questo stato si diventa consapevoli della coscienza. Si trascende la falsa identificazione con il corpo ed i moti della mente. Il risultato è la graduale eliminazione delle cause della sofferenza. A differenza dell’approccio intellettuale di Advaita Vedanta, lo Yoga classico insegna che si può conoscere la verità solo entrando nello stato di samadhi cosciente, in cui la mente è silenziosa. Si prescrive un sadhana progressivo e pratiche spirituali per prepararsi ad entrare nel samadhi. Questo è l’approccio dello Yoga classico, Tantra, e di alcune scuole devozionali (Bhakti) di Vedanta. La realizzazione del Sé è l’obiettivo dello Yoga classico e la perfezione, che coinvolge la trasformazione della natura umana, è l’obiettivo del Tantra.
Si basa sulla comprensione dei principi (tattvas) Samkhya della Natura e la ricerca dell’equilibrio tra gli elementi naturali (guna), cercando di rimanere il Veggente, o testimone, piuttosto che identificarsi con corpo-mente-personalità. Piuttosto che le Scritture l’autorità suprema è l’esperienza personale. La frase “Jiva sta diventando Siva” riassume l’approccio teistico monistico di Siddhantha e Shivaismo del Kashmir. L’identità dell’anima individuale, jiva, con Esso (Shiva) è il fine ultimo, come nella visione non-dualista.
Il pluralismo si trova nelle religioni teiste, come le religioni monoteiste dell’Occidente (cristianesimo, islam ed ebraismo) e nelle tradizioni dualistiche dei Vedanta (quelle di Ramanujacharya e Madhwacharya) e nella filosofia realista pluralista Saiva Siddhantha di Meykandar prevalente nel sud dell’India. “Realista“, perché Meykandar ha insegnato che Dio, anima e mondo sono eternamente separati. In tutti prevale la credenza in un Dio personale. Il mondo non è solo vero, ma è il male. L’anima ha bisogno di trovare una via d’uscita dal mondo e andare in cielo, dove troverà Dio. Fede e devozione in Dio, scritture, rituali, preghiera e religione istituzionale sono i mezzi per farlo, con particolare enfasi sulla fede. Le religioni occidentali inoltre non credono nella reincarnazione e sono escatologiche, che vuol dire che
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attendono una fine apocalittica del mondo ed un “giorno del giudizio” quando le anime dei giusti saranno innalzate in cielo e le altre condannate all’inferno per l’eternità.