Siddhantha, Advaita e Yoga – Parte 1

Intervista di Marshall Govindan (Satchidananda)  – Copyright Marshall Govindan © 2014

Perché e con quale obiettivo hai deciso di fare questa intervista?

Risposta: Se si cerca la verità e si vuole evitare la sofferenza, è necessario porsi alcune fondamentali domande, quali: esiste Dio? Se sì, come posso riconoscerlo? Ho un’anima? Perché sono nato? Qual è lo scopo della mia vita? Perché c’è sofferenza nel mondo? L’obiettivo di questa intervista, il motivo per cui la sto facendo, è quello di aiutare il lettore ad acquisire una migliore comprensione di alcune risposte a queste domande alla luce delle tradizioni spirituali che hanno accompagnato il mio cammino. La maggior parte degli occidentali non hanno alcuna nozione di queste tradizioni spirituali. Un mare di parole non può rivelare la verità, alcune parole tuttavia possono indicarcela, farcela intravedere, ma poi occorre andare al di là delle parole e immergersi nel silenzio interiore per riconoscere “l’identità”. Questo è l’approccio di tutte le tradizioni spirituali. Lo spirito non ha forma, quindi non può essere tradotto in parole. Solo silenzio. Ma non bisogna fare l’errore di molti ricercatori occidentali che, nella fretta di diventare “illuminati”, ignorano o respingono le domande fondamentali che ci siamo posti all’inizio. Spiritualità non significa andare contro l’intelletto. Non significa semplicemente trovare la tecnica più efficace o il maestro migliore, o rifuggire dal mondo.

Qual è il rapporto tra Siddhantha, Advaita e lo Yoga?

Risposta: Il mio maestro, Yogi Ramaiah diceva che Siddhantha inizia dove finisce Advaita. E che il Kriya Yoga di Babaji è la distillazione pratica dei Siddhantha. Ma prima di rispondere a questa domanda sarà necessario rispondere alle altre.

Che cosa significa Siddhantha?

Risposta: “Siddhantha” è l’insieme di insegnamenti di yogi indiani e adepti tantrici, conosciuti come “Siddha” i maestri perfetti, coloro che hanno raggiunto un certo grado di perfezione o poteri divini e che sono chiamati “siddhi.” Oltre ai “Siddha” associati con il buddismo tibetano, sono mistici che hanno abbracciato la pratica del Kundalini Yoga per realizzare la propria potenziale divinità su tutti i cinque piani dell’esistenza. Hanno condannato la religione ufficiale con i suoi templi e l’adorazione degli idoli, i suoi rituali, le caste e la fede nelle scritture. Hanno insegnato che la propria esperienza è la più autorevole ed affidabile fonte di conoscenza e di saggezza e per acquisirla occorre volgersi all’interno delle dimensioni sottili della vita attraverso lo yoga e la meditazione.

La maggior parte dei loro scritti risale a 800-1600 anni fa, fino al 2° secolo dopo Cristo. Anta significa “fine ultimo”. Siddhanta indica il fine ultimo, la conclusione o l’obiettivo dei Siddha, i maestri perfetti. Essa deriva anche da “citta” e “anta” nel senso che è la fine della facoltà di pensare, quindi è la conclusione ultima del pensiero. Esistevano (i Siddha) in tutta l’India e nel Tibet, ma la tradizione a cui appartengono e la letteratura che abbiamo studiato, tradotto e pubblicato dal 1960 è originaria del sud dell’India ed è conosciuta come “Tamil Kriya Yoga Siddhanta.” Gli scritti dei Tamil Yoga Siddha erano sotto forma di poesie e scritti nella lingua del popolo, non in sanscrito, che era conosciuto solo dalla casta superiore dei sacerdoti (bramini) che li avversava in ogni modo. Da nessuna parte dei loro scritti cantano lodi a qualsiasi divinità. Teologicamente i loro insegnamenti possono essere classificati come “teismo monistico.” Ma essi non cercano di creare un sistema filosofico o una religione. Vogliono semplicemente offrire insegnamenti pratici, in particolare legati al Kundalini Yoga, su come realizzare direttamente la Verità, e su tutto ciò che si dovrebbe evitare sul sentiero spirituale.

L’appartenenza ad una setta non ha alcuna importanza per i Siddha. Si sentono a loro agio tra le persone di tutte le fedi. Il loro approccio verso la verità è quello di vivere in prima persona nel samadhi, la comunione mistica di “assorbimento cognitivo”, e quindi arrendersi gradualmente ad esso fino a farlo diventare il loro costante stato di coscienza nell’illuminazione. Il loro approccio non intende costruire sistemi filosofici o credenze religiose. Le poesie dei Siddha non mostrano alcuna traccia di opinioni condivise, di pensiero unico o collettivo; la loro è una “filosofia aperta” in cui sono valutate tutte le espressioni della verità. Le loro poesie e canzoni non predicano alcuna dottrina; suggeriscono solo una direzione da seguire per una realizzazione diretta, intuitiva, personale e profonda della verità divina per ognuno.

I Siddha hanno però utilizzato un linguaggio popolare forte per scuotere la gente dalla loro moralità convenzionale e da ogni illusione egoistica. Quindi hanno usato la lingua comune del popolo, piuttosto che l’elitario sanscrito, per raggiungere il massimo numero di persone. Li hanno esortati a ribellarsi a tutte le credenze ortodosse, alle pratiche vuote, ai rituali del tempio e di casta, e alle petizioni in forma di preghiera. Hanno insegnato che a un certo punto, quando il processo di resa dell’io abbraccia pienamente il piano intellettuale dell’esistenza, la propria esperienza, non le antiche scritture, diventa l’autorità suprema della propria verità. Il Siddha è un libero pensatore e un rivoluzionario che rifiuta di lasciarsi trasportare da qualsiasi dogma, scrittura o rituale. Il Siddha è un radicale nel vero senso del termine, perché è personalmente andato alla “radice” delle cose.

ॐ Om Kriya Babaji Nama Aum ॐ